Linee guida per l’embolia polmonare acuta
L’embolia polmonare (EP) è definita come l’occlusione acuta, parziale o completa, di uno o più rami delle arterie polmonari, da parte di materiale embolico di origine extra-polmonare, molto frequentemente a partenza venosa.
Il tromboembolismo venoso è una delle malattie cardiovascolari più frequenti, con una incidenza annuale complessiva di 100-200 casi per 100.000 abitanti (1,2), attestandosi così come la terza malattia cardiovascolare in ordine di frequenza. L’embolia polmonare è considerata la più grave presentazione clinica del TEV.
L’epidemiologia della Embolia Polmonare è difficile da determinare perché può presentarsi clinicamente in maniera asintomatica, o la sua diagnosi può essere un reperto accidentale (2). In alcuni casi, può essere causa di morte improvvisa (3,4). Nel complesso, l’embolia polmonare è una delle principali cause di mortalità , di morbilità e di ospedalizzazione in Europa.
Il tromboembolismo venoso scaturisce dall’interazione tra fattori di rischio permanenti (legati al paziente) e fattori di rischio temporanei (ad esempio chirurgia, traumi, immobilizzazione, gravidanza, uso di contraccettivi orali o terapia ormonale sostitutiva)(5,6) insorti da 6 settimane a 3 mesi prima della diagnosi di trombosi venosa profonda/ EP (7). Ciò non esclude che l’embolia polmonare acuta possa verificarsi anche in assenza di qualsiasi fattore di rischio noto. Inoltre, il cancro rappresenta un fattore di rischio molto potente che predispone al tromboembolismo venoso e Il rischio di TEV può variare a seconda dei tipi di cancro (8). Le neoplasie ematologiche, il cancro del polmone, il tumore a carico dell’apparato gastroenterico, il cancro al pancreas e il cancro al cervello aumentano il rischio di TEV rispetto ad altre neoplasie (9).
Dal punto di vista fisiopatologico la compromissione acuta sia della circolazione polmonare che degli scambi gassosi, in presenza di embolia polmonare acuta massiva, determina il quadro clinico-strumentale dello shock cariogeno (10); pertanto, se la trombosi polmonare non viene risolta rapidamente ed in modo efficace, si instaurerà un circolo vizioso che porterà al decesso del paziente. Lo scompenso del ventricolo destro, determinato dal sovraccarico pressorio, è considerato la principale causa di morte nell’embolia polmonare severa (11).
La classificazione clinica della gravità di un episodio di embolia polmonare acuta si basa sul rischio di mortalità precoce (intraospedaliera o a 30 giorni). Questo tipo di stratificazione ha importanti implicazioni sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico ed è basata sulle condizioni cliniche del paziente al momento della presentazione del fenomeno embolico. Si suddividono i pazienti in due gruppi:
La semeiotica dell’embolia polmonare è aspecifica. Pertanto la diagnosi precoce della stessa può essere difficoltosa. Il sospetto diagnostico di embolia polmonare deve insorgere in presenza di dispnea, dolore toracico, pre-sincope o sincope, e/o emottisi (12,13).
Gli esami strumentali sono fondamentali per una corretta diagnosi:
– All’emogasanalisi (14) è spesso presente un quadro di ipocapnia ed ipossiemia (anche se nel 40% dei casi i pazienti possono avere una normale saturazione arteriosa dell’ossigeno);
– l’Rx torace (15) è aspecifico ma può risulta utile per la diagnosi differenziale;
– l’Elettrocardiogramma può essere utile nella diagnosi e dimostra tipicamente i segni del sovraccarico ventricolare destro, con inversione dell’onda T in V1-V4, aspetto S1Q3T3 (profonda onda S in DI; onda Q, non precedentemente presente, in DIII; e onde T invertite in DIII) e BBDx che può essere sia completo che incompleto (16)
L’ipotensione arteriosa e lo shock sono importanti presentazioni cliniche, indicative di embolia polmonare massiva e/o di una riserva emodinamica polmonare gravemente ridotta.
L’ insidiosa aspecificità sintomatologica dell’embolia polmonare ha portato la necessità di disporre di algoritmi diagnostici accurati, che tengano conto delle varie combinazioni di presentazioni cliniche, della misurazione del D-dimero e dei tests di imaging (17).
Gli algoritmi diagnostici più semplici per sospetta EP individuano due categorie di pazienti: con e senza shock cardiogeno o ipotensione. A ognuno di questi è dedicato uno specifico algoritmo diagnostico.
Nei pazienti che presentano shock cardiogeno ipotensione (col sospetto di embolia polmonare) è indicata, l’esecuzione di una angio-TC del torace (18, 19) che guiderà l’iter diagnostico/terapeutico successivo. In caso di indisponibilità della TC, è consigliata l’effettuazione di un ecocardiogramma trans toracico (20) al fine di valutare l’eventuale presenza o meno di sovraccarico ventricolare destro, in base al quale procedere o meno con la terapia specifica dell’EP.
Nei pazienti emodinamicamente stabili con sospetta EP il primo step è rappresentato dalla valutazione della probabilità clinica di embolia polmonare. A tal fine i due scores più utilizzati sono il Wells (21) e il Geneva (22) modificato. Entrambi prendono in considerazione i seguenti parametri: frequenza cardiaca, eventuali interventi chirurgici o allettamento nell’ultimo mese, segni e/o sintomi di trombosi venosa periferica, eventuale presenza di neoplasia, anamnesi positiva per pregressa embolia polmonare e/o trombosi venosa profonda e documentata emottisi. Dalla somma dei punteggi assegnati a ognuno di questi parametri emerge la probabilità di embolia polmonare, che può essere bassa, intermedia o elevata, man mano che il punteggio aumenta.
Per i pazienti che hanno un’alta probabilità di embolia polmonare, come per quelli in shock, è indicata l’effettuazione immediata dell’angio-TC del torace. Per coloro, invece, che hanno un rischio intermedio o basso, il primo esame diagnostico consigliato è il dosaggio del D-Dimero plasmatico (23), la cui positività identifica i soli pazienti che dovranno essere sottoposti all’angio-TC; mentre per coloro in cui il D-Dimero risulta negativo non è necessario alcun trattamento.
Strategie terapeutiche
Pazienti in shock cardiogeno o ipotesi
I pazienti con EP e shock o ipotensione sono ad alto rischio di morte intraospedaliera, in particolare durante le prime ore dopo il ricovero; pertanto il trattamento deve essere immediato ed intensivo. Oltre al supporto emodinamico (24) e respiratorio, deve essere somministrata, per via endovenosa, l’eparina non frazionata come trattamento anticoagulante di prima scelta soprattutto nei pz ad elevato rischio emorragico e in quelli con insufficienza renale grave od obesità severa. Nella maggior parte dei casi di EP acuta a rischio non elevato non complicata da insufficienza renale grave, il trattamento con eparine a basso peso molecolare (EBPM) o fondaparinux per via sottocutanea (con lo scopo di raggiungere un aPTT compreso tra 1.5 e 2.5 volte i valori di controllo) sono preferite rispetto all’eparina non frazionata per il minor rischio di complicanze emorragiche e di trombocitopenia indotta da eparina.
Il trattamento iniziale con EBPM deve essere proseguito per almeno 5 giorni e può essere sostituito con gli antagonisti della vitamina K solo dopo il conseguimento di valori di INR tra 2 e 3 per almeno 2 giorni consecutivi (25).
Le EBPM non hanno bisogno di monitoraggio di routine. La dose utile è 0,6-1,0 UI /mL per due/die e 1,0-2,0 IU /mL/die.
La misurazione periodica di anti-fattore Xa (livelli di anti-Xa) può essere presa in considerazione nelle donne in gravidanza.
L’ulteriore terapia da somministrare appena possibile in questi pazienti è la trombolisi sistemica con streptochinasi (250.000 UI in 30 minuti, seguite da 100.000 UI/h per 12-24 ore), urochinasi (4.400 UI/Kg in 10 minuti, seguite da 4.400 UI/Kg/h per 12-24 ore oppure secondo il protocollo accelerato di 3 milioni di UI in due ore) oppure rtPA (100 mg da somministrare: o in infusione continua per 2 ore oppure facendo un bolo iniziale di 0,6 mg/kg in 15 minuti, per un massimo di 50 mg, seguiti dall’infusione dei rimanenti mg nelle due ore successive) (26,27).
Nei pazienti con controindicazioni alla trombolisi ed in quelli in cui la trombolisi è risultata inefficace, è indicata l’embolectomia chirurgica (27). In alternativa alla chirurgia, in quei pazienti che hanno controindicazioni assolute alla trombolisi o nei quali questa è risultata inefficace, deve essere preso in considerazione il cateterismo percutaneo (29).
Pazienti SENZA shock cardiogeno o ipotensione
Nella maggior parte dei pazienti con EP acuta senza compromissione emodinamica il trattamento di prima scelta, che deve essere iniziato appena possibile (anche se è ancora in corso l’iter diagnostico), è la somministrazione per via parenterale di EPBM o fondaparinux, iniziando contemporaneamente anche la somministrazione degli antagonisti della vitamina K, con un range terapeutico di INR compreso tra 2 e 3 (30). In alternativa potrebbero essere utilizzati i nuovi anticoagulanti orali rivaroxaban o apixaban (31). In questo sottogruppo di pazienti, dopo aver confermato la diagnosi di EP e iniziata la terapia anticoagulante, è importante effettuare una stratificazione prognostica al fine di stabilire l’iter diagnostico-terapeutico più idoneo.
Le linee guida ESC 2014 consigliano di utilizzare a tal fine l’indice di Severità dell’Embolia Polmonare (PESI), in quanto sembra essere lo score più attendibile. Questo dà un punteggio per ognuno dei seguenti parametri: età, sesso maschile, neoplasia, insufficienza cardiaca cronica, patologie polmonari croniche, FC > 110/min, pressione arteriosa < 100 mmHg, frequenza respiratoria > 30 atti/minuto, TC < 36°C, alterazione dello stato mentale, saturazione dell’ossigeno < 90%.
Nei pazienti a basso rischio, con PESI I o II, dovrebbe essere considerata la dimissione precoce ed il trattamento domiciliare dell’embolia polmonare, se la compliance del paziente ed lo status sociale lo consentono. Per coloro nei quali il PESI ha fatto emergere un rischio intermedio (PESI III o IV), è richiesta un’integrazione diagnostica al fine di valutare la funzione ventricolare destra mediante ecocardiografia o angio-TC ed eventuale elevazione dei markers indicativi di necrosi miocardica (troponina) e/o scompenso cardiaco (pro-BNP), mediante esami di laboratorio.
I pazienti con EP acuta, a rischio intermedio secondo il PESI, in cui l’ecocardiogramma o la TAC siano indicativi di disfunzione ventricolare destra associata alla positività della troponina e/o del proBNP, vengono considerati a rischio di mortalità intermedio-alto, pertanto è opportuno un monitoraggio dei parametri emodinamici (questi pazienti devono essere ricoverati in una postazione monitorizzata), oltre che valutare la possibilità di effettuare la trombolisi sistemica, al fine di prevenire lo scompenso emodinamico, sebbene questo beneficio sia controbilanciato da un alto rischio di ictus emorragico o grave sanguinamento intracranico.
Al contrario, i pazienti con PESI III o IV, test di imaging negativo per disfunzione ventricolare destra associato a negatività dei parametri di laboratorio, oppure quelli con imaging positivo ma negatività dei markers di laboratorio, o ancora quelli che hanno sia imaging che parametri laboratoristici negativi, vengono classificati come a rischio di mortalità intermedio-basso. In questi pazienti è indicata comunque l’ospedalizzazione e la sola terapia anticoagulante. L’ospedalizzazione, inoltre, deve essere presa in considerazione anche per i pazienti considerati a basso rischio secondo il PESI, ma che hanno segni di disfunzione ventricolare destra e/o elevazione dei markers di laboratorio.
Per tutti questi pazienti la terapia anticoagulante di prima scelta è rappresentata, come precedentemente detto, dalle EPBM o dal fondaparinux, che deve essere somministrata per i primi 5-10 giorni. All’eparina devono essere associati gli antagonisti della vitamina K, la cui somministrazione deve essere iniziata il prima possibile, preferibilmente lo stesso giorno della EPBM, mantenendo valori di INR tra 2.0 e 3.0 per i primi 5-10 giorni; successivamente, si può sospendere l’eparina. Il Warfarin può essere iniziato con una dose di 10 mg ai pz giovani (ad esempio <60 anni di età), ambulatoriali altrimenti sani, e alla dose di 5 mg nei pazienti anziani e in coloro che sono ricoverati in ospedale. La dose giornaliera è regolata in base al INR nel corso dei prossimi 5-7 giorni, con l’obiettivo di un livello di INR di 2,0-3,0.
In alternativa all’associazione anticoagulanti parenterali + antagonisti della vitamina K, possono essere utilizzati anche i nuovi farmaci anticoagulanti orali (NAO), a meno che il paziente non soffra di insufficienza renale di grado severo:
–Rivaroxaban (Xarelto) 15 mg x 2/die per 3 settimane, seguito da 20 mg/die (32)
– Apixaban (Eliquis) 10 mg x 2/die per 7 giorni, seguito da 5 mg x 2/die (33)
Questi due farmaci devono essere iniziati immediatamente, senza associarli agli anticoagulanti parenterali; oppure dopo 1-2 giorni dall’inizio dell’eparina, che dovrà essere poi sospesa. Inoltre, in sostituzione dell’anticoagulazione orale con antagonisti della vitamina K, dopo aver già somministrato EPBM, oggi, in pazienti con EP acuta possiamo anche utilizzare, il Dabigatran (Pradaxa) (31) 150 mg x 2/die, da ridurre a 110 mg x 2/die nei pz di età > 80 o in trattamento con verapamil.
La terapia con deve continuare (in monoterapia) per almeno 3 mesi, tenendo sempre conto della funzionalità reanel del paziente che li assume : clearance della creatinina < 30 ml/min per l’utilizzo di rivaroxaban (Xarelto), dabigatran (Pradaxa) e < 25 ml/min per l’apixaban (Eliquis).
Infine in pazienti con controindicazione assoluta all’anticoagulazione o con recidive di EP, nonostante il trattamento anticoagulante e l’INR siano in target, deve essere considerato l’impianto del filtro cavale.
Durata della terapia con anticoagulanti orali dopo embolia polmonare.
La durata del trattamento anticoagulante per la prevenzione delle recidive è di almeno tre mesi per i pazienti con EP secondaria a fattori di rischio reversibili e per quelli con EP da cause non determinate al primo episodio, anche se in questi ultimi pazienti dovrebbe essere considerata la possibilità di mantenere più a lungo la terapia anticoagulante, se il rischio emorragico è basso. In caso di secondo episodio di EP da cause non determinate, la terapia con anticoagulanti orali deve essere protratta indefinitamente. In pazienti in cui è previsto un prolungamento della anticoagulazione possono essere considerati i NAO in alternativa agli antagonisti della vitamina K con i seguenti dosaggi:
– Rivaroxaban (Xarelto) 20 mg/die
– Apixaban (Eliquis) 2,5 mg x 2/die
– Dabigatran (Pradaxa) 150 mg x 2/die (oppure 110 mg x 2/die nei pz di età > 80 o in trattamento con verapamil).
Per i pazienti neoplastici con embolia polmonare il trattamento con anticoagulanti orali dovrebbe essere prolungato indefinitamente o fino a quando non si è ottenuta la guarigione dalla neoplasia e, inoltre, nei primi 3-6 mesi, si dovrebbe valutare l’opportunità di associare anche la somministrazione sottocutanea di EPBM. Il trattamento cronico riduce di oltre il 90% le recidive, sebbene vi sia un’incidenza di sanguinamenti maggiori uguale o superiore all’1% annuo.
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